Tassazione Forex: facciamo chiarezza

Se qualcuno di voi si è illuso che con il Forex si possa guadagnare senza dover pagare le è meglio che si tolga al più presto dalla testa questa pericolosa idea. La questione, infatti, riguarda semmai quante tasse bisogna pagare. Il Forex è un’attività economica e, come tutte quelle di questo genere, presuppone rapporti con il fisco, che possono essere resi molto problematici dalla sottovalutazione o dall’ignoranza delle regole che presiedono la tassazione dei capital gain generati dalle operazioni svolte.

La risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, contrassegnata dalla sigla 67/E pubblicata il 6 luglio del 2010, fa riferimento ai depositi in valuta estera da destinare a operazioni commerciali. In questo (e solo in questo) caso vale l’esenzione degli importi inferiori a 51.645,69 euro. Non si tratta quindi di capital gain (i guadagni realizzati tramite la negoziazione dei CFD che avviene sul Forex) perché i guadagni sul forex sono soggetti a tassazione

Va comunque detto che su questo argomento i dubbi sono numerosi, incrementati in numero anche dalle tante false indicazioni che continuano a circolare. La soluzione al problema, evidentemente, è una: rivolgersi ad un commercialista competente in materia in grado di chiarirvi le idee e studiare la vostra situazione.

L’intento di questo articolo, ad ogni modo, è porre qualche punto fermo, partendo dal decreto legislativo 141/2010, il quale ha modificato l’articolo 1, comma 4 del Testo Unico della Finanza (TUF), inserendo nella classificazione di contratti finanziari differenziali (CFD o derivati), i contratti di acquisto e vendita di valuta, estranei a transazioni commerciali e regolati per differenza, anche mediante operazioni di rinnovo automatico (i cosiddetti roll-over).

Operare nel Forex, in effetti, significa eseguire contratti finanziari differenziali, che è la fattispecie giuridica da prendere in considerazione ai fini del trattamento fiscale. Fatto questo primo passo, possiamo poi chiarire un altro punto chiave: le tasse sui guadagni nel Forex vanno pagate in ogni caso, a prescindere dall’entità del capitale che sia stato movimentato e dai tempi di esecuzione della transazione.

Ora cerchiamo invece di capire quali tasse e su cosa dobbiamo pagare. Lo scopo principale del mercato Forex è la prestazione della valuta e per questo fa testo quanto deciso dall’Agenzia delle Entrate, secondo la quale le plusvalenze (in pratica i guadagni) e le minusvalenze (perdite), sono da ricondurre nelle fattispecie dei redditi diversi, per i quali vale l’imposta sostitutiva fissa del 26%. Va ricordato al proposito che questa aliquota ha subito proprio di recente un incremento dal 20% al 26%, per effetto del decreto legge n° 66 del 24 aprile 2014, il quale prevede anche la possibilità di avvalersi della precedente aliquota per i titoli posseduti prima del 30 dicembre del 2014. Un aumento che naturalmente ha suscitato le proteste di chi si sente già colpito a sufficienza in un’attività che presenta margini di rischio molto elevati.

Oltre alle variazioni nella quotazione della moneta, bisogna tenere in considerazione anche il roll-over, ossia il differenziale (il quale ovviamente può essere positivo o negativo) che viene a formarsi tra il tasso di cambio della valuta acquisita e quella venduta. Si tratta di un’operazione che il broker compie in via del tutto automatica ogni sera alle undici, chiudendo e riaprendo in tal modo tutte le eventuali operazioni attive sul mercato. Va ricordato al proposito che il risultato viene incluso nella performance dell’operazione, per cui non dovremmo preoccuparcene eccessivamente. Nel computo finale, saranno poi incluse tutte le spese e commissioni trattenute dalla piattaforma.

Per stilare il conto finale, dobbiamo prendere l’estratto conto fornito dalla piattaforma ed effettuare la somma algebrica di tutte le operazioni in positivo (plusvalenze), e sottrarre i risultati delle operazioni in perdita (minusvalenze). La somma algebrica dei due risultati, è quella sulla quale andrà applicata l’imposta sostitutiva del 26%, nel caso il risultato finale fosse positivo. Nel caso contrario, invece, non dovremo versare nulla al fisco. In questo secondo caso, però, sarà nostro compito annotare il tutto nella dichiarazione dei redditi (i profitti vanno dichiarati mediante Modello Unico) al fine di avvalerci del cosiddetto zainetto fiscale. Con questo curioso nome, viene indicato il credito che il trader può accumulare con le perdite, uno strumento che sarà poi valido anche per gli anni successivi. L’aliquota del 26% va in pratica applicata sul totale che risulterà in relazione alle operazioni che siano state effettuate all’interno dell’anno solare.

Come detto, una volta riscontrata la presenza di plusvalenze, si dovrà ricorrere al modello UNICO, compilando il quadro RT – Plusvalenze di natura finanziaria, andando a indicare nella sezione IIB, esattamente nel rigo RT41, la somma delle plusvalenze. Le eventuali perdite dovranno invece essere indicate nel rigo RT45, nel quale possono essere indicate anche minusvalenze riferite agli anni precedenti, non oltre il quarto. Questo al fine di poter detrarre le perdite affrontate nel corso del quadriennio in questione. Il tutto ricordando però che, appunto, l’aliquota dell’imposta sostitutiva ha subito alcune variazioni. Poiché nel 2011 la tassazione era al 12,50%, possiamo perciò detrarre al massimo il 62,50%.

La somma che fatti i calcoli dobbiamo al fisco andrà poi inserita nel rigo RT47, applicando l’imposta del 26% sul risultato finale.

Va anche specificato come ai fini della tracciabilità, sia assolutamente necessario compilare anche il quadro RW Investimenti all’estero e/o attività estere di natura finanziaria – monitoraggio IVIE / IVAFE, nel caso si stia operando con un broker che deposita i nostri fondi all’estero, non senza aver prima provveduto a contattare l’assistenza clienti in modo da conoscere l’iter completo delle procedure usate dalla piattaforma. Anche nel caso si utilizzi un sistema di pagamento come Skrill o Paypal, si deve essere consapevoli che le operazioni da noi effettuate comportano lo spostamento di capitali fuori dall’Italia, rendendo quindi la compilazione del quadro RW indispensabile.

Il pagamento dovrà poi essere effettuato attraverso F24, alla scadenza prevista, ovvero il 16 giugno o il 16 luglio dell’anno successivo a quello in cui sono stati percepiti i redditi. In questo caso, il codice tributo da indicare è il 1100 Imposta sostitutiva su plusvalenza per cessione a titolo oneroso di partecipazioni non qualificate.

Va anche ricordato come alcune realtà danno la possibilità ai loro trader di usufruire del regime fiscale amministrato, che affida proprio a loro il compito dichiarare e versare al fisco quanto dovuto dai loro clienti. Se a prima vista potrebbe sembrare un grande vantaggio, il regime amministrato presenta degli svantaggi da tenere in considerazione. Nel regime dichiarativo è il contribuente che provvede a fare materialmente la dichiarazione dei redditi e ad effettuare il versamento dell’imposta del 26% mediante il modello F24. Nel regime amministrato è invece il broker ad assumersi l’onere di provvedere al versamento delle imposte ed agli obblighi relativi alla dichiarazione dei guadagni o delle perdite. Se ad un primo esame il regime amministrato sembra vantaggioso proprio perché delega le operazioni al broker, occorre invece fare molta attenzione. Se infatti per un anno confrontassimo due trader con regimi diversi, ci renderemmo presto conto che quello con il regime dichiarativo avrà sempre a disposizione un capitale più elevato mediamente del 20%, derivante dal fatto che sulle operazioni effettuate nel corso di un anno solare andrà a pagare le imposte solamente in quello successivo. In pratica, pur avendo la funzione di trattenere una certa quota di guadagni sotto forma di imposte, i due sistemi hanno in realtà orizzonti temporali diversi, tali da generare distorsioni molto ampie. Inoltre, a partire dal 2013 chi decide di ricorrere al regime amministrato deve versare un acconto nell’ordine del 100% di quella dovuta.