Dark Pools: il lato oscuro del Mercato

Le cosiddette “dark pools” sono delle piattaforme finanziarie esterne ai circuiti regolamentati. Nascono circa vent’anni fa, quando la finanza diventa sempre più digitale”: negli ultimi anni il loro peso è cresciuto moltissimo, addirittura The Economist ha stimato che in Europa circa il 10% dei volumi azionari passi per le dark pool. Ancora più macroscopico è il fenomeno negli Stati Uniti, dove Bloomberg stima che il 20% del controvalore degli scambi avvenga su mercati non trasparenti. La presenza di queste zone d’ombra implica la presenza e persistenza di meccanismi di negoziazione di strumenti finanziari poco chiari. Principalmente i meccanismi sono due: da una parte vi sono una serie di intermediari finanziari che incrociano gli ordini di vendita ed acquisto (che ricevono direttamente) senza passare per un mercato regolamentato; dall’altra parte si tratta di segmenti di mercati borsistici in cui l’ente gestore propone un servizio di incrocio passivo, ovvero in cui il prezzo degli strumenti viene determinato altrove (nei mercati regolamentati). In entrambi i casi le negoziazioni non sono rintracciabili ed avvengono in forma anonima. Nel primo caso si tratta di un’attività che esiste da sempre, anche se considerata illegale fino al 2007 ed ora consentita a determinate condizioni. Nel secondo caso, invece, si parla di un tipo di piattaforma indipendente per grandi investitori istituzionali.

Tutte le grandi banche internazionali hanno le propri “dark pools”. Una ricerca di Bloomberg Intelligence rivela che le maggiori appartengono a UBS, Credit Suisse, IEX e Deutsche Bank . Solitamente un investitore decide di operare su queste piattaforme spinto da diversi fattori: in primis l’anonimato, in secondo luogo la possibilità di ridurre il cosiddetto market impact, uno dei più importanti costi impliciti di negoziazione per gli investitori istituzionali. A meno che non si operi nelle dark pool, ogni volta che un soggetto esegue un ordine di acquisto o di vendita superiore alla media muove il prezzo in suo sfavore. Il market impact ha un effetto determinante soprattutto sugli scambi di titoli poco liquidi, motivo per il quale le dark pool sono utilizzate principalmente per trattare questi strumenti.

Tuttavia l’assenza di trasparenza, se da un lato favorisce determinati scambi, dall’altro crea qualche svantaggio. Assenza di trasparenza vuol dire scarsità di informazioni disponibili e, conseguentemente,  un impatto decisivo sulla liquidità (e quindi i prezzi) delle piattaforme trasparenti, le quali, non avendo a disposizione tutte le informazioni necessarie, forniscono dei valori non corrispondenti a quelli reali. E’ quindi lecito domandarsi quanto c’entrino le “dark pools” con il crollo delle Borse e, di conseguenza, tentare di imporre regole più stringenti. Tuttavia sappiamo che questo fenomeno non genera di per sé il rischio di crolli ma sicuramente lo accentua. Le piattaforme oscure, in momenti di grande stress sui listini, possono contribuire a generare confusione: non sono trasparenti, non sono adeguatamente regolamentate e (considerando la mole di transazioni) rischiano di trascinare con loro il resto del sistema finanziario, a partire dalle normali Borse.

Nelle “dark pools” operano una serie di soggetti che con condizioni diverse non negozierebbero: imporre regole più dure su queste piattaforme riduce i vantaggi ed aumenta i costi di negoziazione col rischio di creare un effetto negativo sulla liquidità, riducendo sensibilmente gli scambi. Va anche detto che queste piattaforme danno la possibilità a grandi investitori istituzionali (come i fondi pensione) di operare sul mercato a costi ridotti con beneficio del cliente, ossia il piccolo risparmiatore.

La Mifid 2 ha già lavorato per ridurre l’impatto negativo delle “dark pools” ma  sarebbe molto utile imporre controlli e regole sulla governance dei soggetti coinvolti, soprattutto in relazione all’uso di sistemi automatici di trading, altro fondamentale fattore di instabilità.