L’incognita dello Yuan tra guerre commerciali e nuovi consumi

La settimana passata è stata decisamente una settimana positiva per le Borse. La quarta consecutiva per Wall Street, che ha visto il Nasdaq attestarsi su nuovi massimi storici. Il listino tecnologico è più caro rispetto ad altri indici azionari, i quali (evidentemente) hanno risentito maggiormente delle tensioni internazionali.

Il record del Nasdaq è arrivato poco prima della delusione dei bilanci di  Facebook e Twitter e, nonostante la doccia fredda, resta in testa alla classifica degli indici azionari da gennaio, con un rialzo superiore al 13% (anche grazie agli acquisti dopo i buoni risultati di Amazon). I due social network (che hanno pesantemente rivisto al ribasso la propria capitalizzazione) vantano oggi un parco utenti ripulito da profili falsi e volumi di traffico più veritieri, condizione che potrebbe risollevare gli investitori, nonostante le performance non proprio esaltanti.

I listini più esposti ad attività manifatturiere e dei servizi hanno tirato un sospiro di sollievo dopo l’accordo sui dazi tra i presidenti degli Stati Uniti Donald Trump e della Commissione europea Jean-Claude Juncker. L’intesa ha giovato a tutti, facendo registrare saldi positivi. In Europa ne ha beneficiato soprattutto il Dax tedesco, sebbene i produttori delle auto di fascia alta tedesche siano sempre nel mirino del protezionismo americano.

Grazie al patto tra Stati Uniti ed Unione Europea, finalmente si inizierebbe a delineare il vero obiettivo dell’attacco di Trump: non tanto la voglia di far scattare una guerra che, in prima istanza, danneggerebbe soprattutto gli USA; quanto ottenere qualcosa da mostrare all’elettorato in occasione delle “mid-term” (previste per Novembre). L’incognita, e forse l’obiettivo finale di questa battaglia è la Cina. Le Borse di Shanghai e Shenzen sono in calo a doppia cifra da inizio anno, mentre l’economia cinese sta attraversando una fase di transizione. Dopo una crescita esponenziale il passaggio dalla spinta dell’export a quella dei consumi potrebbe essere problematica. Sintomo del malessere è la poderosa svalutazione dello yuan. Tuttavia, le autorità cinesi sanno che non possono intervenire senza creare squilibri internazionali (come 2015 quando lo yuan crollò improvvisamente) ed è probabile che nel mese di agosto la valuta di Pechino venga portata progressivamente in alto. Una situazione che si verificherà soprattutto se Trump minaccerà dazi sull’export cinese: rialzare la soglia, infatti, renderebbe nullo l’effetto dei dazi sulle esportazioni verso gli Stati Uniti.